La loro fu una breve estate, a differenza di questa che sembra non finire mai. Breve, ma intensa e indimenticabile, soprattutto per noi che aspettiamo la pioggia liberatoria e nel frattempo viviamo – o sopravviviamo – accompagnati dalla colonna sonora del rock anni sessanta.
El Cerrito, San Francisco Bay. Tre ragazzi amici e compagni di scuola fondano una band musicale. John Fogerty alla chitarra, Stu Cook al pianoforte e al basso, Doug Clifford alla batteria. Fin qui, una storia come tante altre, la maggior parte delle quali non portano da nessuna parte, se non ad accumulare ricordi dell’adolescenza, revivals, che restano confinati nella vita privata degli interessati, e nulla più.
I ragazzi del Cerrito invece vanno avanti, e vanno forte. I loro revivals cominciano subito, ed hanno gran successo riproponendo cover di brani già storici, blues e country. Talmente tanto successo che convincono il fratello maggiore di Fogerty, Tom, già affermato frontman di vari complessi, ad unirsi a loro.
I quattro cambiano nome un paio di volte, Blue Velvets e Golliwogs, prima di azzeccare quello giusto. Creedence Clearwater Revival. Un nome di quelli che nascono durante qualche session particolarmente creativa, o particolarmente divagante, come quello dei Litfiba. «Creedence era il nome di una persona, un certo Creedence Newball», avrebbe raccontato Tom Fogerty. Clearwater invece traeva spunto dalla combinazione di due spot pubblicitari. Il primo di una marca di birra che diceva: It’s cool, clear water, il secondo un appello alla conservazione dell’ambiente che mostrava un bambino in riva ad un fiume stracolmo di rottami e rifiuti.
La parola chiave però é Revival. Partiti dalla rivisitazione in chiave rock della già affermata tradizione musicale blues e country americana, i C.C.R. propongono una loro versione di quel rock denominata swamp – letteralmente della palude –, o southern, grazie alle sonorità ed al look ricercati in quel Sud degli Stati Uniti che ancora non si rassegna alla sconfitta nella Guerra di Secessione e mostra ancora i segni di un recente passato pionieristico e selvaggio.
I quattro californiani diventano dunque quattro simil – texani, e dal 1968 in poi – anno del cambio di nome e di tutto il resto – decollano per la leggenda. Sono gli anni della musica che trae spunto dagli acidi e dalla psichedelia, ma i Creedence rifiutano sempre questo lato oscuro del movimento hippie e continuano a proporre il loro revival, duro e puro.
Dura poco, si sciolgono nel 1972 e da quel momento i quattro ragazzi uno alla volta scompaiono nell’oblio. Ma per una breve stagione segnano la storia e la leggenda del rock and roll, scalando le classifiche discografiche e conquistandosi i giudizi positivi di pubblico e addetti ai lavori in tutto il mondo.
Questa Have You Ever Seen The Rain? é del 1970, il loro momento di maggior gloria, in cui si meritano la qualifica di più importante gruppo rock dell’anno. E’ anche un momento critico, perché Tom il fratello maggiore dei Fogerty abbandona la formazione. Ma il southern country rock sembra per il momento non risentirne. La canzone è l’ennesimo successo. Qualcuno ci vede una critica alla Guerra del Vietnam, identificando la pioggia nel testo con quella di bombe che si riversa sul Sud Est Asiatico. Ma il trio del Cerrito smentisce. John Fogerty la dedica alla figlia, il suo arcobaleno.
Resta una grande canzone, ripresa nel tempo da artisti come Rod Stewart, Bonnie Tyler e Belinda Carlisle. E cantata ancora quasi cinquant’anni dopo da noialtri, qui, in attesa di questa benedetta pioggia che non arriva mai.
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