«Una catastrofe inimmaginabile. Cadaveri dappertutto, ma molti non avranno mai sepoltura. Il disastro è avvenuto in pochi minuti, una valanga liquida è scesa fulminea dalla diga per la frana di un intero costone del monte Toc. Decine di milioni di metri cubi d’acqua e fango caduti a valle in una ciclopica ondata. Scomparsi sette stabilimenti industriali, di cui uno della cartiera di Verona con novanta operai. Trovate finora quattrocento salme».
Scriveva così il Corriere della Sera l’11 ottobre 1963, due giorni dopo il più grande disastro ambientale della storia italiana, cinquantacinque anni fa. La zona era quella della Valle del Vajont, al confine tra le province di Belluno in Veneto e di Udine, oggi nel territorio di Pordenone. Alla fine, le vittime accertate sarebbero state 1.918, ma probabilmente il totale superò le duemila, non fu possibile con i mezzi dell’epoca e data la situazione di frazionamento dei centri abitati interessati e la stessa natura della catastrofe determinarlo con esattezza.

Vajont – La ricerca dei dispersi
Il disastro avvenne la notte del 9 ottobre 1963. Alle 22:39 dal costone del Monte Toc si staccò una frana lunga 2 chilometri e del volume di 270 milioni di metri cubi. La frana ci mise 20 secondi a raggiungere il bacino. L’impatto generò due onde, una risalì i versanti distruggendo i paesini di Erto e Casso che vi erano appollaiati da tempo immemore, l’altra – 50 milioni di metri cubi – andò a scavalcare la diga precipitando sulla valle sottostante.
Longarone, il centro abitato principale, fu spazzata via quasi completamente insieme ad altri 13 borghi della vallata. Altri sei furono gravemente danneggiati, l’onda di piena arrivò perfino ad un sobborgo di Belluno, la borgata di Caorera che fu anch’essa distrutta. Dei circa 2.000 morti ne furono recuperati pressappoco due terzi. Il disastro del Vajont fu citato, assieme ad altri quattro eventi, come un caso esemplare di disastro evitabilecausato dal «fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare».
Lascia un commento