Nel 1914, questi erano i giorni in cui arrivò l’Armageddon. La fine del mondo, almeno di quello antico. Dopo quarant’anni di pace, precaria quanto si vuole ma pur sempre pace, le nazioni d’Europa si saltarono finalmente alla gola, portandosi dietro buona parte del mondo che allora era una loro colonia. E fu la Prima Guerra Mondiale. Accolta con entusiasmo (e gran voglia di menar le mani) da folle festanti e piazze gremite quando fu dichiarata, nel presupposto che si sarebbe trattato dell’ennesima guerra ottocentesca, bandiere al vento, squilli di tromba, cariche di cavalleria, per i re e per le patrie.
Subito maledetta non appena mostrò la sua vera natura: un conflitto di tipo nuovo, reso ancora più sanguinoso dall’arrivo sulla scena di nuove armi devastanti. Che tuttavia non erano ancora sviluppate al punto da abbreviarne le sorti. Una strage che il Papa Benedetto XV definì inutile. Di sicuro lunghissima e dal bilancio incredibilmente tragico.
Come il Piero di Fabrizio De André, furono milioni i ragazzi che andarono a riempire le trincee. E come lui, molti non fecero ritorno, avendo incontrato altri Pieri con una divisa di colore diverso, più svelti di loro a non ricambiare la cortesiae premere il grilletto. L’Italia cominciò la sua Grande Guerra con un anno di ritardo, credendo di cavarsela con una campagna breve, di tipo risorgimentale. Non per nulla si trattava di completare il Risorgimento, ricongiungendo alla patria Trento e Trieste.
Durò tre anni e mezzo, uno in meno che per le altre potenze, vincitrici o vinte. E di ragazzi come Piero alla fine sotto i papaveri rossi ne rimasero circa un milione, soltanto di italiani.
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