Era il periodo più crudo della rivalità calcistica tra Italia e Francia dopo il Mondiale di calcio 2006. Loro ci avevano messi sotto nella rivincita giocata a Parigi per il campionato d’Europa, e per rendere la pariglia noi nel ritorno a Milano fischiammo loro l’Inno, secondo un malcostume duro a morire sui campi di calcio non solo nostrani.
Furono i più avveduti tra gli addetti ai lavori italiani, come Italo Cucci, il popolare giornalista del Guerin Sportivo, a rendersi conto per primi dell’errore commesso, e a stigmatizzarlo. Gli inni nazionali rappresentano i popoli, e per questo non andrebbero mai fischiati, a maggior ragione quando si pretende di operare secondo lo spirito sportivo.
Ci sono degli Inni che andrebbero rispettati in modo particolare, per quello che sono venuti a significare nella storia e perché appunto vanno ben al di là del contingente e del politico. Rappresentano valori universali di civiltà. La Marsigliese è uno di questi. Anzi, è l’Inno per antonomasia. Rappresenta per tutti noi – ci piaccia o meno – la storia moderna, la civiltà occidentale, la libertà che si è conquistata a caro prezzo.
Tutto ciò che si fa risalire a quel 14 luglio 1789 in cui a Parigi scoppiò una rivoluzione che, sulla scia di quella americana conclusasi pochi anni prima, finì per travolgere un mondo antico e valori ed assetti sociali sopravvissuti per troppo tempo al Medioevo. Si può litigare con i cugini francesi, e sicuramente – conoscendo noi e loro – lo faremo fino alla fine dei tempi, ma senza di lei adesso saremmo meno che niente.
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