Quando nel 2001 fu aggiustato e fatto ripartire, ci fu una sollevazione popolare. Ogni stazione ferroviaria ha il suo orologio. Quello di Bologna era qualcosa di più. Un simbolo, non un accessorio indispensabile per il viaggiatore trafelato e ritardatario, ma piuttosto un accessorio indispensabile per il viaggiatore della storia. Per non dimenticare, e per fortuna ci si accorse in quell’estate del 2001 in cui la ditta addetta alle manutenzioni ferroviarie fece – a stretto rigore contrattuale – quanto le competeva, che nessuno voleva dimenticare. Assolutamente no.
L’orologio di Bologna era fermo da 21 anni, dalle ore 10:25 del giorno 2 agosto 1980 quando la più clamorosa ed assassina di una serie di bombe clamorose ed assassine scoppiate a giro per l’Italia a partire dal 1969 rappresentò il culmine di quella che allora si chiamava – con scelta lessicale che definiremmo tristemente felice – la strategia della tensione.
Bologna fu l’apice degli anni di piombo, durante i quali non passava giorno senza che nelle nostre orecchie risuonasse il rumore di fondo di un’esplosione, di una sparatoria, di grida disperate di feriti, dilaniati, sparati. Di vedove e orfani. Di ragazzi cresciuti di colpo, passati in un attimo dal boom economico e dal benessere al male di vivere di una guerra di cui non si capiva proprio la ragione. Non la si capisce tutt’ora.
Bologna, l’Italia ferroviaria tagliata in due da quella linea di sangue, l’orologio tondo con il vetro spaccato furono l’apice, anche se il culmine sarebbe stato otto anni dopo il rapimento di Aldo Moro. Allora, toccato nel cuore, lo Stato avrebbe cominciato a fare sul serio, eliminando perplessità e sospetti che invece a Bologna erano divampati con la stessa violenza dell’esplosivo.
Sarà di 85 morti e 218 feriti, il tributo di sangue più alto che ne fa l’evento legato al terrorismo più tragico in assoluto della storia d’Italia, l’orologio della stazione per volontà della cittadinanza bolognese resterà fermo per sempre all’ora della strage, le 10:25 del mattino.
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